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Channel: noomi rapace – Nuovo Cinema Locatelli
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Film stasera in tv: PROMETHEUS di Ridley Scott (giov. 21 dic. 2017, tv in chiaro)

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Prometheus, Rai 4, ore 21,00. Giovedì 21 dicembre 2017.
20138717.jpg-r_1920_1080-f_jpg-q_x-xxyxxPrometheus, regia di Ridley Scott. Con Noomi Rapace, Michael Fassbender, Charlize Theron, Idris Elba, Logan Marshall-Green, Guy Pearce.
20076868.jpg-r_1920_1080-f_jpg-q_x-xxyxxChi siamo? da dove veniamo? chi ci ha creati? Prometheus si fa queste basiche domande e si dà (e ci dà) qualche risposta. Alto spettacolo montato da un Ridley Scott tornato in forma, degno dei classici della fantascienza. E, nonostante rischi più volte il sentenzoso e il banale filosofico, ce la fa a diventare qualcosa di molto buono e ad appassionarci. Sì, è il prequel di Alien, ma è anche di più e molto altro. Darkissimo, perfino lugubre, comunque immane. Niente a che vedere con i popcorn movies. Voto 7 e mezzo
Gran film, che riporta la fantascienza al cinema ai suoi momenti gloriosi, il più incisivo e spettacolare del genere dai tempi di Avatar, il più significativo e complesso da Moon di Duncan Jones. Plot qua e là lacunoso, non sempre il massimo della trasparenza, però fondato su un’idea forte, e con il coraggio da parte dgli autori di farsi domande di peso, rischiando – ma che importa se poi si viene altrimenti ripagati? – il ridicolo e l’imbarazzante. Le domande son proprio quelle basiche, insomma da dove veniamo? chi ci ha creati? Dio o altri? Senza menarla troppo, e mescolandolo all’azione, in Prometheus si introduce e si miniaturiazza il dibattito tormentoso tra creazionisti e anticreazionisti, calandolo all’interno della coppia di scienziati protagonista, lei (Noomi Rapace) che dalla croce che si porta al collo si capisce subito da che parte stia, lui (Logan Marshall-Green) sostenitore convinto di una visione del mondo laicizzata, da positivista puro e duro. Sgombriamo subito il campo da un equivoco seppur parziale. Questo film di Ridley Scott non è il prequel del suo mitologico Alien del 1979, o almeno lo è solo in parte, e se con Alien ha decisivi punti di contatto e di incrocio, va poi per conto suo, è opera a sè che apre su discorsi propri e, chissà, su possibili futuri propri sequel. Film di magnificenza visiva come poche volte recentemente, in cui Scott ritrova tutta la sua capacità di montare e creare universi immaginifici iper-saturi, potenti, stordenti come un’esperienza mistica, extracorporea, al di fuori di sè. O come un lungo viaggio allucinogeno. Film, anche, abbastanza in controtendenza rispetto al gusto oggi vincente, più vicino ai classici assoluti della sci-fi (l’eterno Odissea nello spazio, qui citato fin dalla prima inquadratura del pianeta con lo spicchio iluminato, ma anche Stalker di Tarkovsky) così colti, densi, stratificati, che al cinema popcorn a uso delle masse globali dei multiplex. Che difatti hanno reagito così così a Prometheus, ormai assestato sui 130 milioni di dollari d’incasso in America e arrivato ai 380 worldwide, cifre che non sono male, ma certo al di sotto delle aspettative. Il co-sceneggiatore Damon Lindelof, venendo da Lost, immette qualcosa di quel serial di culto (l’esplorazione di un mondo parallelo, l’accumulo di domande che rimandano ad altre domande senza che quasi mai ci siano risposte, secondo la tecnica ampiamente collaudata in Lost dell’intensificazione del dubbio e della sospensione), ma evidentemente non è bastato a convincere gli spettatori ventenni e meno che ventenni. Questo rimane irrimediabilmente un film adulto e non ragazzinesco, il che è forza e debolezza (sul mercato) nello stesso tempo. L’inizio, in un plaga selvaggia e sconosciuta, è subito un concatenarsi di immagini formidabili. Un uomo, o forse è un androide (scopriremo più tardi a quale specie appartenga davvero), dalla pelle come biaccata e metallizzata, viene invaso da qualcosa di sconosciuto che lo divora dall’interno. Poi ci si sposta da qualche parte della Scozia, nell’anno 2089, dove una coppia di scienziati, forse archeologi, forse bioarcheologi o entrambe le cose – Elizabeth Shaw e il marito Charlie Holloway (Rapace e Marshall-Green) – scoprono strani graffiti in una grotta, indizi a loro parere dell’esistenza sulla terra decine di migliaia di anni fa di super creature che avrebbero inventato la specie umana. Quel che segue è una spedizione spaziale verso un pianeta remoto alla ricerca di quella razza di giganti cui, secondo l’ipotesi dei nostri due scienziati, si deve la creazione della nostra specie. Insomma, siamo – letteralmente – al chi siamo? da dove siamo venuti?, siamo all’indagine e alla speculazione sulle nostre origini. Scott e gli sceneggiatori sono però abili a tenersi lontani dagli abissi del kitsch intellettuale e a non sovraccaricare di retorica il plot, miscelando con mestiere la parte chiamiamola filosofica a quella più decisamente spettacolare. La nave interstellare Prometheus, una meraviglia scenografica dentro e fuori, è stata finanziata per motivi oscuri da un signore poco prima che morisse (ma che apparirà in un messaggio-ologramma alla ciurma), ed ora nel suo viaggio è governata con pugno di ferro dalla figlia di lui, una Charlize Theron belva del potere, algida e sinistra, che giustamente qualcuno dopo questo ruolo e quello di Biancaneve e il cacciatore ritiene la vera erede della Faye Dunaway più malvagia, estrema e camp. Tutti ibernati, ovvio, nei loro letti-sarcofago, e tutti risvegliati in prossimità della meta da David, androide costruito dal padrone della nave, che è il personaggio più azzeccato e sfaccettato del film, grazie anche a un Michael Fassbender bravo come e più del solito. David è il maggiordomo della padrona, ma è anche quello che dà l’impressione di saperne più di tutti, studia lingue antiche anzi fossili ed è perciò pronto ad entrare in contatto con i misteriosi padri degli umani. Anche se gli dicono che non ha anima, lui i sentimenti li prova, eccome, e lo dimostrerà pericolosamente nel corso del film. Si guarda e riguarda (ed è una delle invenzioni migliori) Lawrence d’Arabia, suo film di culto di cui conosce a memoria le battute, e vuole somigliare a Peter O’Toole, è biondo come lui, si stira i capelli come lui. L’equipaggio, con in testa il muscolare capitano macho interpretato da Idris Elba, è un perfetto campionario di umanità, dell’umanità migliore e peggiore, onde consentire scontri e battibecchi tra caratteri diversi e opposti. Poi si atterra sul remoto pianeta e subito, penetrando in un cunicolo che si allarga in una sorta di santuario-cimitero, si trovano tracce che confermano l’ipotesi dei due scienziati. Lì hanno abitato i giganti che hanno creato gli umani, e lì sono msteriosamente periti. A causa di che cosa? Liquami e altro materiale organico inquietante indicano che c’è sotto qualcosa di orrendo, e difatti. Niente spoiler, e comunque, visto che questo è (anche) il prequel di Alien, ci siamo capiti, giusto? La parte horror non sposta però il baricentro di Prometheus, che resta fantascienza filosofica, per quanto la definizione possa suscitare rigetto e perfino repulsione (eppure io, che non amo le sentenziosità in salsa sci-fi, ho apprezzato). Il senso di mistero che Scott riesce a comunicarci nella parte di esplorazione del mondo sotterraneo è totale, le scenografie sono grandiose, sinistre e allarmanti, con quel gigantesco faccione da idolo che ci ricorda sia il Mussolini di Amarcord che il mascherone di Zardoz di John Boorman. Si seguono col cuore in gola le scene della tempesta al silicio, ma tutta la parte action è eccellente. Tra le pecche metterei la scarsa trasparenza e coerenza del plot in certi passaggi, soprattutto nella parte ultima, e certe inverosimiglianze (possibile che la coppia di scienziati riesca da alcuni graffiti e poco altro a ipotizzare così perfettamente la pre-esistenza di una razza di giganti creatrice degli umani?). Ma Prometheus è nei momenti migliori spettacolo totale, sci-fi di una qualità degna dei classici. Cupo, darkissimo, per niente consolatorio, dunque lontano dalle visioni ecologico-mistiche di Avatar, questo Ridley Scott non fa sconti. Tutti pagano il dovuto, e anche di più. No, non è roba per platee intossicate di popcorn e vogliose di narrazioni piatte senza troppe escursioni all’in su o all’in giù. Di Charlize Theron si è detto, Michael Fassbender è ancora un volta il migliore di tutti ed è sexy anche come robot (nonostante la gamba corta, diciamolo), Noomi Rapace – che fuori dalla sua Svezia sembra sempre sperduta (vedi il secondo Sherlock Holmes e Passion di De Palma presentato a Venezia), qui è abbastanza convincente, certo non paragonatela all’altra eroina di Scott, la Sigourney Weaver di Alien.


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